Il fediverso
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Frog, Ana, NetMonster e Jada erano degli smanettoni, i classici tipi che passavano il tempo di fronte a uno schermo a scrivere codici invece che a scattarsi selfie da condividere sui social. Gli altri frequentatori del centro sociale proprio non li capivano e li consideravano un po’ dei tipi strambi anche se in fondo innocui.
Beninteso, non che fossero asociali! Erano comunque di buona compagnia quando si andava a bere o a mangiare insieme, ma per il resto… strani davvero! Impossibile comunicare con loro! Non avevano neanche un account Facebook; Ana e Frog addirittura non avevano WhatsApp!
Il centro sociale che frequentavano era molto vivace e pieno di attività e iniziative: la palestra popolare, la taverna, la serigrafia, il cinema… per non parlare delle serate danzanti che spaziavano dalle milonghe alle notti techno.
L’assemblea del centro sociale aveva deciso di non avere un account Facebook ufficiale ma i singoli gruppi che animavano lo spazio avevano creato altrettanti account per promuovere le loro attività. I problemi cominciarono a farsi evidenti quando Ana e Jada scoprirono che c’era una loro foto che girava su Facebook, le ritraeva mentre bevevano una birra, geolocalizzate presso il CS, taggate con i loro nick. La foto era stata postata dal gruppo Pub. Le ragazze erano infuriate. Frog e Net cercavano di ragionare con loro.
«Non è possibile!», sbottò Jada, «Non ho un account su Facebook eppure mi trovo la mia faccia sbattuta sulle timeline altrui con tanto di nick! Quelli del pub sono proprio idioti, basta ora gli sbrocco.»
«Aspetta», replicò Frog, «è l’occasione buona per allargare il discorso. Parliamo all’assemblea e chiediamo che tutti i gruppi di lavoro cancellino i loro account FB»
«Sì! Hai ragione!», rincarò Ana, «Facciamogli chiudere tutto, non è possibile che le nostre attività vadano a nutrire i metadati della Megamacchina di Zuckerberg!»
«Sarà dura convincere gli altri», rifletté Net.
Come Net temeva, la mozione portata in assemblea si rivelò un fallimento. Il coro di critiche era in apparenza molto sensato:
«Ma Facebook è fondamentale per promuovere le nostre attività!»
«Come facciamo senza Facebook a far sapere quello che succede qui?»
«Come si può raggiungere gente nuova senza un evento FB?»
«Siete i soliti elitari! Volete restare chiusi nella vostra torre d’avorio!»
Il piccolo gruppo di smanettoni era sconsolato.
«Ho un’idea!», saltò su Frog, «alcuni miei amici fanno laboratori esperienziali di pedagogia hacker, invitiamoli a fare un laboratorio qui! Sono esterni, sono al di sopra delle parti, magari aiuteranno i social-dipendenti a riflettere!»
E così fu.
Il laboratorio fu molto partecipato, tanto da social entusiasti che da
social scettici, tanto da smanettoni che da persone del tutto digiune di
tecnologia. Si giocò a lungo ribaltando i propri ruoli, immaginarono di
essere gli abitanti di un modo sotterraneo e di dover scegliere dei
metodi per comunicare con il mondo in superficie… E non furono solo i
social entusiasti a riflettere, anche i social scettici si misero in
discussione giocando con altri punti di vista.
Nei giorni successivi Frog, Ana, NetMonster e Jada parlarono molto tra loro di quello che era successo durante il laboratorio. Non avevano mai amato i social ma quelle ore di gioco avevano fatto nascere un pensiero nuovo… e se costruissimo il nostro social? Dove avere il controllo dei dati e dei metadati senza doverci sentire a casa di nessuno?
E così si misero a studiare, a far ricerca e infine decisero di installare un’istanza Mastodon, un server social indipendente e decentrato, un sistema planetario che ruota attorno a una stella e che fa parte di un universo in cui esistono numerosi sistemi planetari tutti diversi ma in comunicazione gli uni con gli altri.
L’idea piacque ai frequentatori del centro sociale, l’idea piacque talmente tanto che i quattro smanettoni si ritrovarono a fare presentazioni del progetto in tutta la città, e poi nelle città adiacenti, e poi in tutto il Paese! Istanze di Mastodon cominciarono a nascere ovunque.
Da quattro utenti, la loro istanza ne raggiunse rapidamente oltre duemila. Duemila persone che dopo un anno di frequentazione del nuovo social erano pronte per incontrarsi dal vivo, per conoscersi e riconoscersi in una piccola neonata comunità dove era responsabilità di tutti prendersi cura della qualità dei rapporti on e offline.
«Chi se lo sarebbe mai aspettato», fece notare Frog a Ana due anni dopo la nascita della loro istanza, «noi che eravamo i più lontani dai social network ora sembriamo i promotori delle piattaforme.»
«Hai ragione, che cosa folle… ma quando saranno tutti autonomi e capaci di costruirsi le loro istanze io mi cancello l’account e torno a fare l’asociale», rispose Net. In alto i calici, pardon, i boccali: risero all’unisono, brindando al Fediverso.
Capire
L’idea diffusa e radicata di social network, prima della Grande Peste di Internet, era quella di un luogo unitario, indifferenziato, monolitico, con regole e meccanismi rigidamente uguali per tutti. Ma bastava guardare un po’ più in là di Facebook e Instagram per scoprire un ricchissimo universo di piattaforme social eterogenee e flessibili, ognuna con le proprie regole totalmente gestibili e adattabili a ogni utente. Piattaforme social indipendenti che non raccoglievano dati e metadati e non avevano nessun interesse a catturare con mille trucchi l’attenzione e il tempo dei loro utenti.
Friendica, Diaspora, PeerTube, MissKey, Hubzilla, Mastodon, erano solo
alcune tra queste piattaforme. L’utente non si iscriveva a una
piattaforma software ma a un’istanza della piattaforma che riteneva più
affine ai propri interessi e alle proprie inclinazioni.
Provate a immaginare il Fediverso come un insieme di sistemi solari: ogni stella è una piattaforma tra quelle sopraelencate, ogni stella ha dei pianeti che le girano intorno che noi chiameremo istanze. Ovviamente nessuno degli utenti può abitare sul sole, si abita piuttosto sui diversi pianeti e ogni pianeta (come ogni abitante di ogni pianeta) può scegliere di comunicare o meno con altri pianeti o altri abitanti nello stesso sistema solare o in altri sistemi solari.
Quando arrivò la grande peste di Internet molti erano gli abitanti del Fediverso, ma purtroppo non abbastanza per non essere spazzati via, massa critica troppo scarsa contro la catastrofe. Eppure qualcuno sopravvisse…
La parola all’hacker
Anche se mantenevi un profilo molto basso vivendo senza telefono furbo, senza account sui social network, senza geolocalizzazione, senza usare mai Google e i suoi servizi e senza applicazioni di messaggistica istantanea, il fatto che i tuoi amici o conoscenti fossero tutti immersi in quello stesso mare ti impelagava nei loro stessi vortici. Insomma, ti impediva di essere immune dal contagio social.
Infatti in ogni momento potevi finire taggata in una foto, anche a tua insaputa; allo stesso modo, i metadati con tutte le indicazioni per ricostruire nel dettaglio le tue serate potevano essere facilmente estratti dalle conversazioni dei gruppi WhatsApp creati dai tuoi amici. Persino le tue vacanze poteva essere tracciate minuziosamente a partire dall’analisi degli account Google dei tuoi compagni di viaggio.
Guardare la luna e non il dito
«Ah! Un altro social!» Perché iscriversi a un’istanza Mastodon?
Continuare ad accumulare account sui social network era un gesto compulsivo comune a molti di noi nell’epoca appena prima della Grande Peste di Internet. Trovare nuovi amici, sentirsi meno soli, condividere ogni momento della propria giornata, combattere l’odiata e temuta noia. Alla fine eravamo spinti a dare sempre il meglio di noi, a mostrare sempre di più pur di essere in contatto con gli altri.
Ma chi sono questi altri con cui vogliamo veramente essere in contatto? Proviamo ad immaginare il processo inverso: una comunità già consolidata che decide di dotarsi di strumenti per organizzare al meglio le proprie attività e perché no, anche per scambiarsi chiacchiere e pensieri.