Controllo parentale: come e fino a che punto?

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Stefano e Giorgio erano inseparabili. Erano in classe insieme da tre anni ormai, da quando avevano appena dieci anni. Spesso trascorrevano lunghe ore davanti alle loro consolle, insieme o ciascuno a casa propria, intenti a costruire e distruggere mondi immaginari. E quando era ora di cena o di andare a letto, «ancora un minuto» era il ritornello ormai noto. Staccarli dagli schermi era un’impresa. Sembravano in un altro mondo, la loro attenzione era completamente catturata dall’azione sullo schermo. «Astrazione ambientale» e «disattenzione selettiva», la definivano gli esperti di neuroscienze cognitive.

Anche i genitori dei due amichetti, com’è logico, si conoscevano. Le loro mamme, Sonia e Mara, si aiutavano nella logistica e si tenevano informate sui mille impegni scolastici e doposcuola. Erano diventate piuttosto intime.

Un pomeriggio, dopo aver riaccompagnato Stefano a casa, la mamma di Giorgio trovò un momento per parlare a quattr’occhi con quella che ormai considerava un’amica.

«Senti, siamo sempre state dirette fra di noi, vero?», esordì Sonia, evidentemente a disagio.

«Cosa c’è, Sonia? Non tenermi sulle spine», incalzò Mara.

«Guarda, penso che sia normale, alla loro età, i miei nipoti più grandi ci sono già passati, però, lo stesso… insomma, oggi sono entrata senza bussare in camera di Stefano, pensavo giocassero come al solito. Invece ho notato che hanno girato subito lo schermo, e Giorgio si è affrettato a cambiare pagina, erano su Internet. Ho intravisto qualcosa di strano. Mentre facevano merenda ho dato un occhio alla cronologia, sai, l’elenco delle pagine visitate, come mi ha spiegato una collega che ne sa, Ctrl+h. Stavano guardando un video su YouPorn, Mara!»

«Ma sei sicura al 100%?», chiese incredula l’altra.

«Sì, non c’è dubbio, davvero! E non solo oggi. Ho controllato, sono molte settimane che va avanti questa storia. E adesso, cosa facciamo?»

Decise a non farsi prendere dal panico e a tenere la cosa per sé, le due donne si diedero da fare e cominciarono a raccogliere informazioni fra le conoscenze più strette. Qualche giorno più tardi, si manifestò quella che sembrava una soluzione. La collega di Sonia fornì alle mamme preoccupate una contromisura. Un firewall* per il controllo parentale, da installare sui navigatori di tutti i dispositivi connessi in Rete. Così i ragazzi non sarebbero più riusciti ad accedere a siti web classificati con contenuti sessuali espliciti, violenti e così via.

Ma si trattava di un blocco inefficace. Dopotutto erano ragazzi svegli, nati con Youtube e Snapchat! In qualche modo riuscivano ad aggirare il firewall, Sonia ne era certa. Anche se la cronologia della navigazione risultava immacolata, a scuola si era sparsa la voce: Stefano e Giorgio erano ormai considerati i fornitori ufficiali di sconcezze pornografiche! E si sa, la gente mormora. Infatti un’altra mamma, che aveva accesso allo smartphone del figlio, aveva girato a Sonia un’intera chat WhatsApp in cui suo figlio si rivolgeva ai due pusher di video proibiti.

Ormai davvero preoccupata, Mara si decise a parlarne con suo marito. Dopo un iniziale rifiuto di sentire ragioni, Francesco, che aveva qualche nozione di informatica avanzata, passò all’azione. Installò un firewall a livello del router, l’apparecchio che collega i dispositivi casalinghi alla rete e smista su ciascuno i flussi di dati, anche a casa dei genitori di Stefano.

Tutto sembrava filare liscio, finché lo scontro non si fece esplicito: dopo qualche giorno, i genitori si resero conto che uno dei due router era stato manomesso! I due ragazzi vennero finalmente convocati dai quattro genitori riuniti e messi alle strette. Dopo molti dinieghi, infine ammisero di aver trovato il modo di «bucare» anche il router grazie a un semplice videotutorial trovato in Rete.

«Ragazzi, sono immagini sbagliate, non va bene!», ammonirono i genitori. «Ma non è giusto però: perché per voi non vale, il controllo? Questa non è democrazia, se è sbagliato, è sbagliato per tutti, è un’ingiustizia!», si lamentò Giorgio, evidentemente il più eloquente dei due.

Guardare la luna e non il dito

Non c’è dubbio: con bambini e ragazzi, le proibizioni spesso acuiscono la voglia di trasgressione. A una certa età, ogni divieto viene immediatamente percepito come un potente pungolo a infrangere le regole. D’altra parte anche con gli adulti il proibizionismo lascia il tempo che trova: si pensi solo al proibizionismo storico, che impediva e puniva il consumo di alcool negli Stati Uniti. Lo stesso vale per ogni tipo di multa. Per quanto elevata sia la sanzione o grave la punizione a cui si va incontro, innalzare i muri stuzzica sempre il desiderio di aggirarli o abbatterli.

La circolazione di materiali pornografici e violenti è senz’altro in cima alle preoccupazioni dei genitori e degli adulti in generale. Tuttavia il fenomeno andrebbe inquadrato in maniera più ampia. Dato il livello di diffusione e di accessibilità di tali materiali, non siamo di fronte a un rischio di contatto fra pornografia e minori, bensì a una certezza: prima o poi il contatto ci sarà. Sarebbe quindi opportuno ragionare sugli anticorpi, sui possibili «vaccini», piuttosto che sulle proibizioni.

Detto questo, non sta a noi giudicare i comportamenti. Possiamo solo cercare di capire come funziona il fenomeno e proporre contromisure efficaci.

Esistono molte tipologie di firewall, sia software che hardware. I primi sono programmi informatici che filtrano i contenuti visualizzabili sui dispositivi connessi a una rete. I secondi sono apparecchi che si interpongono fra i dispositivi e la rete. In entrambi i casi è possibile aggirare i filtri, ma così facendo si lasciano delle tracce delle attività effettuate. Insomma le violazioni vengono registrate.

Buone pratiche

Innanzitutto, è fondamentale far capire a bambini e ragazzi che non è facile menarci per il naso. Al di là del caso specifico di pornografia e violenza, si tratta di ribaltare il luogo comune per cui i «nativi digitali» sono più scaltri e sanno imbrogliare in ogni caso gli adulti, vecchi «immigranti digitali». Non esistono nativi e immigranti, ma solo persone più o meno capaci, e tutti possiamo diventare abili a interagire con strumenti digitali.

  • Assicuratevi che i ragazzi sappiano che voi potete, se volete, controllare le attività che svolgono sui loro dispositivi privati. Sono sotto la vostra tutela.
  • Ma attenzione al controllo. Può generare una falsa sicurezza. I ragazzi spesso sono in grado di eludere la sorveglianza, come del resto ciascuno può ricordare ripensando alla propria infanzia e adolescenza. Il controllo e la sicurezza sono due cose separate e non necessariamente legate.

Una buona idea è senz’altro acquisire dimestichezza con firewall e controlli parentali, ma non affidatevi ciecamente a questi strumenti. Non solo perché la censura, l’abbiamo giù detto, solletica in ogni caso la curiosità; ma anche perché firewall e controlli stessi possono essere inefficaci e manipolati.

Non dimentichiamo che nessuna macchina può sostituire (almeno, non ancora…) la capacità di scegliere. I contenuti scartati dai firewall sono il risultato di filtri applicati da qualche autorità terza che non controlliamo direttamente.

  • Discutete con altri adulti, insegnanti e genitori di cosa vietare e come farlo.
  • Documentatevi e parlate con degli esperti, più di relazioni fra adulti e ragazzi che di dispositivi elettronici.
  • Accertatevi che sia chiaro perché alcuni contenuti sono vietati: non è un caso né un’ingiustizia, si tratta di una decisione consapevole e ragionata.
  • L’infrazione dei divieti stabiliti deve essere sanzionata in maniera chiara e comprensibile. Non c’è nulla di peggio di regole non rispettate a cui non fa seguito alcuna reazione.
  • Ricordate che i ragazzi imitano i più grandi. Quindi anche e soprattutto voi, se siete genitori, parenti, educatori, insegnanti. Se siete spesso immersi nel vostro smartphone è difficile esigere dai più piccoli un autocontrollo che voi per primi faticate ad esercitare.

In casa, una decisione saggia è collocare i dispositivi connessi in Rete in luoghi non privati, ma accessibili a tutta la famiglia, di passaggio. Per esempio, spostare il computer per la navigazione online per ricerche e svago in salotto invece che lasciarlo nella stanza dei ragazzi. Stare in Rete è un’attività pubblica, tutto è tracciato e registrato. Questo è il primo messaggio da trasmettere, con i fatti.

Al tempo stesso, se non potete evitare che li usino, è opportuno limitare drasticamente il traffico dati disponibile sui dispositivi personali (smartphone, tablet e consolle) dei ragazzi. Ma ricordate che si possono sempre connettere da altre reti, per esempio le reti wi-fi pubbliche e/o gratuite.

Ricordiamo anche che nelle scuole primarie e secondarie private d’élite degli Stati Uniti i ragazzi vengono cresciuti cercando di minimizzare o addirittura eliminare le interazioni con strumenti digitali, mentre nelle scuole pubbliche italiane quasi sempre si cerca di introdurre il digitale a tutti i costi. Non solo nella didattica, ma anche nell’organizzazione burocratica. Come se l’adozione di apparecchi di massa, equipaggiati con costoso e in ogni caso incontrollabile software proprietario, prodotti e controllati da aziende private, coincidesse automaticamente con un miglioramento della qualità dell’insegnamento. In questo caso forse sarebbe intelligente imitare quello che fanno i ricchi!

La parola alla tecnica

  • Esistono controlli parentali specifici per i giochi online. Se vi destreggiate con l’inglese, cercate parental control insieme al nome del videogioco in questione.
  • Lo stesso vale per i programmi TV
  • Creare utenti differenziati con diverse autorizzazioni è il primo passo per impostare un uso consapevole dei dispositivi elettronici. I migliori sistemi di controllo parentale si basano sulla creazione di utenti appositamente per i ragazzi.

Il controllo, un’arma a doppio taglio

La domanda globale di controllo non cessa di aumentare. Tale domande è sostenuta da una grande varietà di soggetti differenti.

I genitori desiderano controllare i figli e impedire comportamenti ritenuti scorretti. Per le stesse ragioni, i datori di lavoro desiderano controllare i dipendenti. I partner desiderano controllarsi, reciprocamente. Gli apparati dello Stato, oltre a controllarsi fra loro, desiderano controllare i comportamenti all’interno dei loro confini per far rispettare le leggi vigenti; spesso desiderano estendere questo controllo anche all’esterno, visto che i mondi digitali non coincidono affatto con i confini geografici.

Tutti questi soggetti sono accomunati anche dal desiderio di non essere a loro volta controllati: genitori, datori di lavoro, partner, apparati statali non vedono di buon occhio il fatto che figli, dipendenti, partner e cittadini esercitino a loro volta un controllo su di loro. Ma le connessioni di rete funzionano sempre in entrambe le direzioni: uno strumento di controllo può facilmente rivoltarsi contro il controllore.

Di fatto, si identifica una dinamica relazionale complessa (parentale, lavorativo, affettivo, legislativo, democratico e così via) con un semplice problema risolubile mediante un sistema tecnico adeguato. Ma le relazioni non sono problemi da risolvere: sono dinamiche da vivere. D’altra parte, maggiore controllo non significa quasi mai maggior sicurezza. Significa solo… maggior controllo!