BigG è mio amico

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Era una bella mattina di novembre, frizzante. Il sole si era levato dal mare, qualche nube sparsa non riusciva a offuscarlo. Matteo era proprio contento di quelle brevi vacanze con la famiglia, ne aveva davvero bisogno, staccare dal caos di Parigi e riconciliarsi con le cose vere: passeggiare sulla spiaggia e, al massimo, pensare a cosa cucinare per cena. La casetta in Bretagna era di sua zia Clara, gliel’aveva prestata per una settimana, ovviamente avvertendolo che c’era tanto disordine e da troppo tempo nessuno veniva a sistemare. Aveva cercato di tranquillizzarla, se la sarebbero cavata.

Squillò il telefono. Sconosciuto. Normalmente Matteo non avrebbe risposto, ma siccome era fuori casa…

«Buongiorno, chiamo per il camino. Ho avuto il suo numero da sua zia. Era preoccupata per lo stato della canna fumaria. Posso passare tra una mezz’ora a dare un occhio, se le va bene.»

«Ah… sì certo, grazie. A dopo.»

E va bene, d’accordo, pensò Matteo. Sembrava una buona idea, non solo la zia Clara ne sarebbe stata contenta e si sarebbe sentita utile anche da lontano, ma soprattutto avrebbero potuto fare una bella fiammata di tutte le ramaglie del giardino; i bambini si sarebbero divertiti.

Così in tarda mattinata si presentò un tizio per spazzare il camino. Un vero professionista, gesti precisi e misurati, pochi attrezzi ben calibrati.

Al momento di regolare il conto, il ragazzo porse il suo telefono a Matteo, in modo che potesse digitare il suo indirizzo e-mail per inviare la fattura. Era una schermata inconfondibile, anche se personalizzata: quella di gmail.

Cominciò a digitare «Matteo», e gmail propose «Valletta»… Matteo Valletta, sì! Si chiamava proprio così, ma com’era possibile?

Trovò la cosa vagamente inquietante. Sapeva che Google era al corrente di un sacco di informazioni, però parecchie cose non gli tornavano. Sembrava che fosse quasi un comportamento intelligente, una conclusione ottenuta grazie a raffinate deduzioni. Cercò di spremersi le meningi.

Innanzitutto, lo spazzacamino non lo conosceva affatto, non aveva il suo nome né il suo cognome, solo il numero di telefono della zia e il suo. Ma la zia Clara, sorella di sua mamma, aveva un cognome diverso dal suo. Matteo non aveva nessun indirizzo gmail con il suo nome e cognome. Una volta, per poter usare un’applicazione di lavoro (forse dei colleghi che stavano su Hangout) aveva dovuto crearsi un account Google, ma non lo usava praticamente mai. Certo, sul telefono aveva Android, il sistema operativo di Google. Quindi, come faceva BigG a sapere il suo cognome e a proporlo a una persona che non conosceva affatto e che non aveva nessun legame con lui?

Matteo alambiccava delle ipotesi. Forse Google si era accorto della sua presenza in quella piccola casa di pietra per via della connessione 4G? Ma questo significa che tracciava le connessioni? Oppure aveva semplicemente dedotto il suo nome dal numero di telefono, visto che lo spazzacamino lo aveva chiamato? Sì, forse, ma… come?

Capire

La profilazione era diventata un sistema davvero molto sofisticato. Google era sempre stato un campione nell’ottenere i dati personali per organizzare al meglio l’esperienza digitale. Oltre alla profilazione attiva, quando fornivamo volontariamente i nostri dati personali, esistevano diverse forme di profilazione passiva, attraverso sistemi come Google Analytics, capaci di indicare a Google dove ci trovavamo sulla Rete anche quando non stavamo usando direttamente un suo servizio.

In questo caso c’erano diverse possibilità, tutte da ritenere plausibili, anche se non avendo a disposizione il telefono dello spazzacamino difficilmente sarebbe stato possibile analizzare nel dettaglio cosa era davvero accaduto.

Un primo elemento da tenere in considerazione era che l’artigiano aveva già inserito il nome di Matteo sul suo cellulare (magari l’aveva chiesto alla zia?). L’applicazione che gestiva la tastiera virtuale e la composizione automatica si era occupata di scriverlo. E non aveva certo bisogno di partire da zero! Perché nel mondo di BigG non eravamo mai soli. C’erano molti modi per BigG di recuperare informazioni precise su Matteo.

Alcune ipotesi. Probabilmente nell’ambiente professionale o familiare di Matteo c’era almeno una persona ben organizzata che compilava scrupolosamente la rubrica telefonica del suo smartphone Android. In quella rubrica tanto precisa Matteo era registrato con il suo nome e cognome anagrafico, magari anche nickname e soprannomi; con il suo numero di telefono e i suoi indirizzi email, forse anche quelli per cui aveva fornito dei nomi falsi, o degli pseudonimi. In questa eccellente rubrica poteva persino esserci una foto di Matteo, perché era più divertente vedere chi ci stava chiamando quando la suoneria cominciava a squillare!

Siccome questa persona, o queste persone, avevano un telefono recente, un modello di alta gamma piuttosto costoso, aveva paura di farselo rubare, o era di quelli che rompevano sempre lo schermo del proprio telefono… Perciò aveva sincronizzato la sua rubrica telefonica con il proprio account Google, in modo da non perdere comunque nessun contatto.

Lo spazzacamino, da parte sua, aveva anche lui un telefono Android piuttosto recente; e, nel suo lavoro, essere rapidi ma precisi a sbrigare gli aspetti burocratici per la fatturazione era fondamentale. Ragion per cui, da bravo utilizzatore di BigG, aveva configurato al meglio il suo account, con tutte le funzionalità di «Intelligenza Artificiale» per automatizzare il più possibile i servizi. Bingo!

Profilazione digitale

La profilazione (profiling) è l’insieme delle tecniche che serve per identificare il profilo dell’utente in base al suo comportamento.

Il predecessore culturale del profiling digitale è il profiling criminale, per cui si cerca di tracciare un profilo psicologico dell’autore di un reato in base alle sue modalità di esecuzione. Il modo in cui si comporta descrive la sua personalità. Il profiler criminale, figura molto diffusa nelle serie TV crime e nei thriller, è uno psicologo che cerca di portare alla luce dei pattern, cioè degli schemi ricorrenti nel modo di agire di un individuo. Questi modelli regolari di comportamento vengono considerati utili per anticipare il momento del reato e poter intervenire cogliendo l’autore sul fatto (o quasi).

L’identità viene quindi identificata con la condotta personale. Così come il profiling criminale identifica il comportamento del delinquente, allo stesso modo il profiling digitale identifica il comportamento dell’utilizzatore dei servizi, ovvero dell’utente. Il profiler digitale, in questo caso, è la piattaforma di Google, capace di effettuare un monitoraggio in grado di anticipare le mosse dei suoi utenti (ad esempio, la richiesta della mail per la fattura), così come il profiler criminale anticipa il momento e il modo del reato.

Un passo più in là. Semiotica e psicologia.

In un sistema di segni e segnali, codificati e catalogati, l’assenza di segni o segnali è significativa in rapporto alla presenza di altri segni o segnali. Nel nostro caso, nel sistema di profilazione di Google, l’assenza di un profilo a cui altri profili fanno riferimento costruisce quel profilo stesso, attraverso indizi e dettagli.

Immaginiamo di non aver nessun account Google. Siamo però in contatto con persone che hanno un account Google, quindi un profilo; e siamo registrate nelle loro rubriche. In questo modo possiamo dire che in ogni caso Google sa della nostra esistenza… attraverso le relazioni che intratteniamo con persone di cui conosce la rete sociale.

Un esempio ancora più semplice riguarda l’uso stesso del telefono. Immaginiamo di appartenere al gruppo di quelli che, preoccupati per la loro privacy, non vogliono far sapere a Google dove si trovano e perciò decidono di staccare i loro telefoni quando si riuniscono. Queste persone hanno delle relazioni fra loro, sono collegate fra loro. Se una sera tutti i loro telefoni risultano staccati e irraggiungibili, è ragionevole dedurre che sono collegate fra loro da questo evento.

Per fare un passo ulteriore, al limite della fantascienza, possiamo domandarci che tipo di intelligenza sia un’intelligenza come quella che manifesta Google. Un’intelligenza per la quale ogni segno, segnale, dettaglio è degno di nota, registrato, analizzato e messo in correlazione con altri segni, segnali, dettagli.

Ammesso e non concesso che si tratti di intelligenza, è un tipo di intelligenza paranoica. La paranoia è una semiosi infinita. Nella paranoia, come affermava Lacan, «tutto è segno». L’esperienza paranoica del mondo consiste nel porre il significato dappertutto.

Certo, non è Google a porre il significato: lui immagazzina, analizza e categorizza. Sono le persone che lo utilizzano a instaurare significati. E però viene da domandarsi se un pizzico di paranoia non sia già propria di un sistema che tende a trasformare ogni evento in informazione da registrare, quasi volesse prevenire ogni futura correlazione di senso.