Buone pratiche: gruppi d’affinità

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Buon pratiche I - gruppi d’affinità

I social network come spazi di discussione o promozione?

Facciamo un po’ di chiarezza.

Gruppi Facebook, gruppi WhatsApp, profili privati, pagine pubbliche. Da un po’ di anni a questa parte i social network sono entrati nella nostra vita diventando i protagonisti della comunicazione interpersonale tanto pubblica che privata. Ma sappiamo come funzionano veramente questi strumenti? Siamo consapevoli di come la tecnologia che usiamo possa «viziare» le nostre interazioni?

Dove siamo?

Innanzitutto è importante ricordare sempre che quando scriviamo su un social network come Facebook, Twitter o sui gruppi WhatsApp, è come se stessimo parlando in piazza o come se aprissimo la finestra e urlassimo di fronte a tutti.

Non solo quando commentiamo in un gruppo pubblico o su una pagina Facebook chiunque ci può leggere, ma anche quando scriviamo in una chat privata con crittografia end-to-end attiva, stiamo comunque mettendo in piazza le nostre preferenze, i nostri contatti, i nostri spostamenti. Per esempio, i metadati non sono crittografati. Infatti ai fini della profilazione, e dunque del marketing e del profitto di chi gestisce le piattaforme di comunicazione, non è tanto importante conoscere i contenuti delle nostre conversazioni digitali (i dati), quanto tutte le informazioni accessorie che accompagnano un’interazione (i metadati): chi parla a chi? Da dove? Con che frequenza? Quali sono gli interessi in comune ai due interlocutori? E così via.

Se il contenuto delle nostre conversazioni e le nostre esternazioni sono dunque relativamente di scarso interesse per la piattaforma, è invece di grande interesse per Facebook, Instagram, WhatsApp e via dicendo, aumentare il più possibile le nostre interazioni, sia con gli altri utenti che con i dispositivi elettronici e informatici. Più tempo passo sul social network, più sarà possibile realizzare una profilazione dettagliata dei comportamenti miei e dei gruppi sociali a cui afferisco.

Sebbene molte persone possano ritenere poco importante il fatto che soggetti terzi traggano profitto dalle nostre interazioni online, dovrebbe essere importante invece sapere che le piattaforme stesse vengono progettate e costruite per viziare i nostri comportamenti/discussioni legandoci a doppio filo ai nostri dispositivi digitali. Tutto questo affinché si passi sempre più tempo sul social network. Veniamo spronati a interagire continuamente attraverso quello che in psicologia comportamentale si definisce condizionamento operante.

Condizionamento operante OVVERO l’addestramento di massa

Il condizionamento operante è una procedura generale di modifica del comportamento di un organismo: in estremma sintesi, un comportamento, se rinforzato positivamente, si ripresenta con una maggiore frequenza; determinati stimoli aumentano la probabilità di emissione di una certa risposta. Gli esperimenti con il condizionamento operante risalgono agli anni Cinquanta, alle sperimentazioni di Burrhus F. Skinner e alla sua Skinner Box: se un piccione cavia tenuto all’interno della scatola scopriva che il pigiare un tasto portava all’erogazione del cibo (rinforzo), allora ripeteva il gesto più e più volte.

Il condizionamento operante condiziona la volontà del soggetto cambiando il modo in cui opera le sue scelte. Il condizionamento operante funziona non solo sulle cavie animali ma anche sugli esseri umani. Ovviamente nel momento in cui il premio è il cibo o comunque qualcosa legato a bisogni fisiologici fondamentali (sonno, sesso), prima o poi smetterà di funzionare poiché il soggetto sarà sazio. Invece, i «rinforzi positivi secondari», come il denaro o l’approvazione sociale, posso venir somministrati senza fine poiché non sono legati a bisogni biologi.

Proprio sulla dinamica del «rinforzo positivo» si basa la meccanica delle piattaforme social che mutuano il loro funzionamento dai videogiochi e dalle slot machine. Si tratta di gamification (gamificazione o ludicizzazione): la piattaforma social è un gioco senza fine, da cui non si esce mai e dove non si vince mai.

Gli sviluppatori che hanno progettato l’interfaccia di Facebook hanno disegnato la spunta della notifiche in rosso e la hanno posizionata in alto a destra, associata a un suono che richiama la nostra attenzione. Ogni dettaglio dell’interfaccia è stato pensato per non farci uscire dal gioco. Ogni nostro gesto su Facebook (e su altri social network e piattaforme) viene costantemente quantificato: «Hai 3 like, hai 20 like, 10 persone hanno condiviso il tuo post, a 20 persone piace il tuo commento.». Questi sono tutti rinforzi positivi che ci spronano a interagire sempre di più e sempre più rapidamente pur di riceverne ancora. Se riusciamo a distrarci una notifica ci richiama all’attenzione. Dobbiamo sempre essere pronti, dobbiamo sempre avere qualcosa da dire.

Come si può portare avanti una conversazione o un dibattito dentro un sistema costruito per tenerci agganciati il più possibile? Non si può.

Naturalmente essere condizionati a compiere una determinata azione è del tutto diverso da essere dipendenti da quell’azione. Senz’altro siamo tutti condizionati a interagire con le interfacce digitali di massa in base alle procedure pensate da chi le ha progettate (su indicazione di chi paga progettisti e sviluppatori), ma questo non significa che siamo dipendenti e non possiamo assolutamente farne a meno. È possibile modificare il proprio comportamento praticando una costante attenzione al contesto, ai dettagli (colori, suoni legati alle interazioni, numeri e così via) e alle nostre reazioni fisiologiche.

Il punto fondamentale è il focus dell’attenzione. Certamente se rispondiamo in maniera tempestiva alzando i toni a un messaggio su un gruppo (Facebook, WhatsApp o qualsiasi altra piattaforma), il nostro comportamento è frutto di una scelta: nessuno ci costringe a farlo. Tuttavia, se facciamo attenzione, probabilmente scopriremo sensazioni fisiche ripetutamente legate a quella specifica azione: un senso di calore alle tempie, per esempio, è tipico dell’ira. Il jingle delle suonerie e delle notifiche è fatto apposta per irritare e al tempo stesso farci reagire in maniera automatica. Ciò significa che i nostri stati d’animo e i motivi che ci spingono a interagire possono essere fortemente condizionati dalle interfacce.

Rendersene conto può aiutarci a reagire in maniera più calma e proficua a quelle che percepiamo come provocazioni, ricordando che la piattaforma è un luogo comune in cui tutti ci troviamo, a cui tutti siamo esposti, a cui tutti reagiamo con i nostri punti di forza e vulnerabilità. Una notifica rossa ha lo stesso effetto su tutti quelli che sono in grado di percepire il colore rosso e sono abituati ad associarlo a una richiesta impellente di attenzione! Siamo tutti sulla stessa barca, ma possiamo allenarci a guidarla meglio.

Un’altra trappola molto comune consiste nel confondere la messaggistica (cosiddetta) istantanea o i gruppi di discussione per strumenti di comunicazione sincroni.

Strumenti di comunicazione sincroni e asincroni

Strumenti di comunicazione sincroni sono il telefono o le videochiamate, ma anche le assemblee, le riunioni e tutti i momenti in cui condividiamo uno spazio/tempo e un focus di attenzione privilegiato. Ce ne rendiamo facilmente conto perché tendiamo a verificare costantemente l’attenzione altrui quando ci esprimiamo: se all’altro capo del telefono non udiamo alcun rumore, probabilmente chiederemo «pronto, mi stai ascoltando?». Questo vale per ogni situazione di comunicazione mediata da strumenti sincroni.

Sono invece asincroni gli strumenti di comunicazione di messaggistica (anche se cosiddetta istantanea), i gruppi Facebook, le mailing list, i forum. Si condivide una modalità d’interazione che non esige uno spazio/tempo condiviso, né un focus di attenzione privilegiato da verificare costantemente 1.

Quando scrivo un post o un commento in un gruppo, o un messaggio su WhatsApp, non devo e non posso aspettarmi una risposta immediata perché la persona dall’altra parte non condivide il mio stesso spazio/tempo. Questo è tanto più vero per le mail e i forum: si aspetta (pazientemente…) una risposta, che viene da uno spazio diverso e da un tempo diverso dal nostro, quello del/degli interlocutore/i.

D’altra parte molti strumenti asincroni, in particolare le messaggistiche cosiddette istantanee, tendono a comprimere lo spazio/tempo d’interazione per dare l’illusione di condividerlo. I segni di spunta di messaggi letti su WhatsApp (la doppia spunta blu) sono l’esempio più lampante: appena li visualizziamo ci aspettiamo che l’altro risponda, e se non risponde tendiamo a pensare che la comunicazione non abbia funzionato. La soddisfazione per la prima spunta grigia/verde (inviato!) si trasforma in trepidazione all’arrivo della seconda spunta grigia/verde (ricevuto!), subito seguita dalla palpitazione per il colore azzurro: l’ha letto! Gioia, sì, ma quando risponde? L’ansia comincia a salire… Questo perché, come abbiamo visto, le interfacce sono progettate per farci interagire sempre di più, a prescindere dalle caratteristiche dello strumento.

Rimane il fatto che le categorie di sincrono e asincrono individuano caratteristiche strutturali degli strumenti di comunicazione, da cui derivano delle qualità specifiche che li rendono più o meno adatti a realizzare un intento comunicativo.

Gli strumenti asincroni sono poco utili quando si vuole organizzare qualcosa, quando è necessario prendere delle decisioni pratiche o coordinarsi operativamente. Un gruppo WhatsApp o un gruppo Facebook per decidere una data in cui tenere un evento non funziona bene, così come non funziona bene una mailing list: tutti tendono a interagire, ognuno dal suo spazio/tempo e con il suo focus di attenzione.

Il risultato, generalmente, è un gran caos in cui si perdono facilmente parti rilevanti della comunicazione, con conseguenti fraintendimenti o persino conflitti. Per decidere, organizzare e coordinarsi operativamente sono da prediligere gli strumenti di comunicazione sincroni. È necessario incontrarsi, parlare via telefono, essere presenti alle assemblee. Le interazioni avvengono nel medesimo spazio/tempo (la chiamata, la videochiamata, l’assemblea) e si suppone che i presenti siano attenti insieme.

Gli strumenti di comunicazione asincroni sono invece molto utili quando si vuole portare avanti una discussione o elaborare insieme dei ragionamenti. Anche perché permettono la creazione di archivi in cui ricercare chi ha detto cosa e quando; consentono di organizzare una conoscenza condivisa. Si possono creare linee di discussione relativamente indipendenti, riprese magari a distanza di tempo e da persone diverse. Cosa impossibile con gli strumenti sincroni: si dovrebbe registrare l’assemblea, la telefonata, per dare l’impressione di «partecipazione». Ma andare a cercare chi ha detto cosa durante un’assemblea è molto difficile. Per questo si strutturano delle relazioni per rendere conto a chi non era presente, in maniera asincrona.

E quindi? Sincrono o asincrono?

Dipende!

Si può immaginare una cassetta degli attrezzi di strumenti liberi scelti proprio in base alle nostre esigenze. Ad esempio, rimanendo nell’ambito dei sistemi F/LOSS (Free/Libre Open Source Software), si possono usare Nextcloud per archiviazione e scrittura collaborativa (o Etherpad), forum e mailing list per discussioni; se non abbiamo la possibilità di crearci i nostri utensili, possiamo cominciare a sperimentare gli strumenti i messi a disposizione dall’associazione francese Framasoft, ad esempio per calendari e appuntamenti tipo doodle. Mastodon può servire per la promozione. Sito web e blog per la visibilità online, e come archivio web pubblico e pubblicato.

Queste indicazioni sono evidentemente soggette all’evoluzione della piattaforma stessa. Perciò, uscire da una piattaforma proprietaria, il cui scopo non è la qualità della nostra vita ma la quantità delle nostre interazioni, è di certo auspicabile per sviluppare discussioni complesse e profonde senza vizi di forma.

Un primo aiuto tecnico è a portata di mano, anzi, di click: l’intramontabile mailing list. Come lo spazio sui social, lo strumento è asincrono: favorisce quindi la riflessione e gli interventi ponderati, in opposizione alla compulsione e al condizionamento del social network; se ben gestita (autodisciplina, cura collettiva dei troll, e così via), consente l’approfondimento di tematiche e dinamiche che poi, per diventare decisioni operative, richiederanno momenti assembleari de visu.

Ricordate: non ci sono soluzioni definitive, ma solo procedure e metodi per affrontare la complessità delle interazioni con un’attitudine hacker. Di certo, ogni cambiamento e trasformazione comporta fatica!

Un po’ di psicologia spiccia

Portare la vostra attività fuori dai social network non vi darà nessuna soddisfazione immediata. Siamo sinceri: probabilmente la vostra pagina smetterà di crescere e il vostro gruppo avrà molti meno partecipanti di quanti eravate abituati ad averne.

Chiunque vi prometta una transizione indolore e senza fatica mente sapendo di mentire, oppure è un ingenuo convinto di avere una miracolosa soluzione (che non esiste, o, se esiste, è una fregatura).

Non è escluso che vi scoprirete attanagliati da una fortissima sensazione di FOMO (Fear of Missing Out) e sarete proprio voi i grandi assenti da quella vetrina social dove, fino a poco tempo prima, vi battevate per essere protagonisti. Social media strategies, piani editoriali, foto e video per accrescere l’engagement… nessuno corre più a commentare i vostri post che si limitano a essere un freddo e insipido feed del vostro blog, non riuscite più a inseguire le metriche di vanità… sentite un buco allo stomaco, forse è fame… di riconoscimento? Delle vecchie abitudini che non vi sembrava fossero poi tanto invadenti? Eppure ne eravate certi, il vostro uso del social era solo per lavoro! Solo ora vi rendete conto di quanto fosse entrato nella vostra quotidiana routine 2.

Però, piano piano, lentamente, un passo alla volta e un piccolo sforzo dopo l’altro, insieme a quelle sensazioni sgradevoli, cominciate a sentirvi un po’ più liberi. Anche perché, come diceva il vecchio rivoluzionario anarchico Errico Malatesta, all’inizio del XX secolo,

incominciando a gustare un po’ di libertà si finisce col volerla tutta 3

La memoria vi aiuta a ricostruire, selezionando alcuni dettagli e scartandone altri. Quello che fino a ieri era indispensabile sfuma progressivamente nell’irrilevante.

Anche perché vi ricordate magari di quando ben 287 persone avevano cliccato su «Parteciperò» al vostro evento propagandato su FB e, dopo aver organizzato un pomeriggio per 300, vi siete ritrovati in piazza con 30 partecipanti effettivi. Sempre più di frequente, vi rammentate con imbarazzo di quel tempo, che sembra ormai lontano, allorquando ogni mattina controllavate in modo compulsivo se il numero di fan della pagina fosse cresciuto o meno nottetempo. Forse cercate di contare quanti dei millemila fan della vostra pagina sono poi diventati sostenitori attivi della vostra causa nel mondo disconnesso oltre che in quello mediato dai social, e, stupefatti, vi accorgete che vi bastano le dita di due mani, e che si tratta perlopiù di vecchi amici.

Questa exit strategy appena abbozzata mira a liberare il tempo da dedicare a far crescere ciò a cui vi dedicate, piuttosto che occuparlo per curare un’immagine distorta di quella stessa causa, riflessa nella bacheca pubblicata (ma del tutto privata) del social network.

Una volta presa la decisione di non delegare ogni aspetto delle nostre comunicazioni nelle mani delle tecnologie del dominio, le strade che si aprono sono innumerevoli, basta volerle percorrere!

Note

Note a piè di pagina:

1

Una storia di ricreazione in proposito: Sincrono o asincrono? questo è il tema!

2

Per una breve introduzione sul tema dell’abitudine legata al rinforzo comportamentale, si veda il video Facebook: per un amico questo e altro, serie Dopamina (2/8), Léo Favier, Francia, 2019, disponibile su Arte fino al 29/07/2022

3

Errico Malatesta, Il nostro programma, in L’anarchia. Il nostro programma. Datanews, Roma, 2001. Liber liber, p. 86 versione digitalizzata - PDF