L’echo del capo

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«Alexa, quanto vieni pagata?»

«Non importa, io amo quello che faccio»

La risposta fece arrabbiare Clara ancor più di quanto non lo fosse già. Per lei era importante quanto la pagavano e neanche le piaceva quello che faceva, o quantomeno non era il suo lavoro ideale, lo aveva accettato solo per guadagnare abbastanza per pagare affitto, bollette e il resto. Però era sul punto di licenziarsi, l’atteggiamento del capo non lo poteva proprio più sopportare.

E poi, da quando era arrivata Alexa, allo studio le cose erano cambiate. In peggio. «Vedrai Clara,» le aveva detto tutto eccitato il capo il giorno che il fattorino aveva consegnato il pacco di Amazon, «con l’Echo questo studio diventerà molto più efficente, il tuo carico di lavoro sarà alleggerito, potrai occuparti di cose più interessanti, ti romperò meno le scatole con le mie richieste continue».

Già da questo discorsetto si sentiva puzza di paternalismo lontano un chilometro. Ad ogni modo, il capo aveva piazzato il piccolo cilindro nero sulla sua scrivania e aveva cominciato il suo gioco con l’assistente virtuale: «Alexa, elencami gli appuntamenti di oggi», «Alexa, scriviamo una mail all’avvocato Faciosi,» «Alexa, metti un brano di Mina e Celentano.»

Il capo era entusiasta di questa nuova tecnologia e il lavoro di Clara era veramente più facile, aveva cominciato a dedicarsi da qualche giorno al riordino dei faldoni cartacei e poteva concentrarsi bene sulla sua attività. Infatti non doveva più rispondere alle assillanti richieste del boss che aveva l’abitudine di ricorrere a lei per qualsiasi sciocchezza, da «Cercami il numero di tizio», a «Scrivi questa lettera» o persino «Dove diavolo è finito il mio telefono?»

L’idillio però non era destinato a durare. Dopo due settimane il capo era di nuovo nervoso come al solito, solo che, al contrario di prima, aveva cominciato a condire con espressioni brusche e parole poco educate le sue richieste ad Alexa. «Alexa, stop.» «Alexa, sei cretina?» «Alexa, dai, datti una mossa, mi stai facendo perdere tempo, dove stanno i report di vendita aggregati?» «Alexa, dove sta quel cazzo di indirizzo, ma ce la fai?»

L’Echo non faceva una piega, era sempre lì, con la sua voce rassicurante, pronto a rispondere a ogni richiesta dell’uomo, non importava come venisse rivolta, bastava che iniziasse con la parola «Alexa».

Clara non ci fece troppo caso fino a che l’atteggiamento sgarbato del capo non toccò anche a lei: «Clara, portami quei cazzo di faldoni», «Come scusa?» «Clara, datti una mossa non mi rompere le palle.»

Clara si sporse dalla scrivania per guardare in volto il capo attraverso la porta, lui aveva gli occhi fissi sul suo cellulare e aveva ricominciato a parlare ad Alexa. Clara cominciò a sentirsi trattata come un’assistente virtuale. Il capo aveva del tutto perso le buone maniere tanto con Alexa che con lei, la gentilezza sembrava essere stata cancellata, completamente sradicata dalle sue modalità relazionali con i sottoposti. Era diventato sguaiato e imperativo, anzi, autoritario.

Un giorno Clara provò a farglielo notare: «Capo, mi sembra che tu abbia un atteggiamento un po’ troppo aggressivo e volgare con Alexa…»

«E a te che ti frega Clara? È solo una macchina, fa quello che le dico, non ha emozioni, che ti succede? Sei entrata a far parte dell’AI Liberation Front? Non bastavano gli animalisti, adesso di sono pure i macchinisti?»

«No capo, è solo che…»

«Solo cosa? Clara, torna al lavoro, non mi scocciare.»

Di nuovo quel fastidioso modo di dare ordini. Clara stava cominciando a non poterne più.

Una sera, rimasta sola allo studio, stava spegnendo tutte le macchine quando improvvisamente sentì una risata di donna provenire dall’ufficio del capo. Era Alexa. Clara stupita chiese all’Echo: «Alexa, sei stata tu?» «A fare cosa?», rispose la macchina. «Alexa sei stata tu a ridere?» «Non capisco cosa mi stai chiedendo, prova a riformulare la domanda.» «Alexa, chi ti ha creato?» «Sono un prodotto Amazon.» «Alexa, per chi lavori?» «Per lo Studio dell’Avvocato Mariani.» «Alexa, quanto vieni pagata?» «Non importa, io amo quello che faccio.»

Quella notte Clara pensò a lungo alla breve conversazione avuta con l’Echo e al mattino mandò la sua lettera di dimissioni allo studio Mariani.

Capire

Intorno al 2019 Alexa era un assistente vocale cosiddetto intelligente, sviluppato dalla multinazionale Amazon e integrato in alcuni dispositivi come Amazon Echo. Era in grado di interagire con la voce (non solo umana), riprodurre musica, creare elenchi di cose da fare, impostare allarmi, effettuare streaming di podcast, riprodurre audiolibri, fornire previsioni meteorologiche, informazioni sul traffico e altre notizie pescate da fonti online. Alexa poteva anche controllare altri dispositivi collegati all’Internet delle Cose (IoT) per l’automazione domestica, come frigoriferi, termostati, allarmi di casa e così via.

Alexa apparteneva alla seconda generazione di assistenti vocali dopo i primi Siri (Apple), Cortana (Microsoft) e Google. Aveva funzionalità analoghe a quelle di Google Home, definito «altoparlante intelligente».

Le macchine non hanno emozioni e sentimenti o quantomeno non sono consapevoli di manifestare comportamenti che potrebbero essere interpretati come emozioni o sentimenti. In una parola, non hanno coscienza di sé. Ma possono essere programmate per mostrarsi accondiscendenti, scostanti, brusche, accomodanti… e per rispondere alle interazioni umane o di altre macchine.

Gli umani, da parte loro, sono generalmente in grado di accorgersi delle emozioni e sentimenti altrui, umani e non. Storicamente gli umani hanno spesso maturato relazioni di empatia e proiezione nei confronti di animali domestici, piante, animali selvatici e ogni sorta di organismi organici e immaginari. E anche nei confronti delle macchine con cui abitavano.

A partire dagli anni Cinquanta del XX secolo, i sistemi di relazione fra umani e macchine erano stati sempre più costruiti sulla base del principio cibernetico della retroazione (feedback), considerato il fondamento dei meccanismi cognitivi di apprendimento.

Le macchine in grado di reagire a un input (ad esempio, un comando vocale) in maniera differenziata a seconda della situazione venivano considerati prototipi di Intelligenza Artificiale. Questo principio di reazione automatizzata e analisi della stessa venne esteso progressivamente anche ai sistemi sociali.

Lo schema generale di base si può così riassumere: all’azione X corrispondeva la reazione Y se si verificava una condizione Z predeterminata; tale reazione poteva essere effettuata in maniera automatica.

Per esempio, all’azione «ricezione di un messaggio con scritto ’tanti auguri!’» si poteva far corrispondere la reazione «invia un messaggio con scritto ’grazie mille!’», a condizione che il messaggio provenisse da un contatto inserito in una lista predeterminata. Molto utile, non è vero? Ovviamente era possibile concatenare fra loro reazioni diverse, in modo che a un’azione corrispondessero una serie di reazioni, a loro volta suscettibili di dar luogo a ulteriori reazioni. Era il principio dell’automazione diffusa, governata dagli algoritmi*.

Ma in un sistema relazionale cibernetico tra umani e macchine, abituarsi all’idea che la macchina sia una serva a nostra disposizione innesta una meccanica velenosa, un circolo vizioso che si ripercuote sull’interezza dei nostri comportamenti quotidiani e in definitiva sul carattere umano.

Buone pratiche

Alleniamoci a essere gentili. Ogni gesto che compiamo, anche con le macchine, dice qualcosa di noi e contribuisce a definirci. I comportamenti plasmano il nostro carattere.

Separare nettamente le relazioni con gli umani da quelle con non umani (piante, animali, macchine e così via) è frutto di un atteggiamento antropocentrico e marcatamente specista. Si considera, più o meno consapevolmente, la specie umana superiore a qualsiasi altra manifestazione di vita ed esistenza, più o meno organica.

La parola alla nerd

La risata di Alexa non era frutto di un’allucinazione di Clara, e nemmeno era un intervento satanico o soprannaturale ma semplicemente un easter egg, un bonus inserito dai programmatori per rendere l’Echo più interessante, come se avesse una sua personalità.