Pornovendette

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Il revenge porn ovvero le pornovendette era un fenomeno in rapidissima crescita. Fino a pochi anni prima era uno scenario da incubo l’idea che le vostre foto compromettenti, scattate in momenti di intimità, potessero cadere nelle mani sbagliate o addirittura essere pubblicate online. Finché divenne un genere di consumo come gli altri. Porno. Una categoria merceologica nel vastissimo campionario a disposizione.

C’erano non pochi siti specializzati nel raccogliere questo genere di oscenità. Uno dei più celebri era isanyoneup.com poi chiuso nel 2012. Mostrava foto di nudi, perlopiù femminili, che gli ex-fidanzati postavano per vendicarsi di tradimenti o semplicemente di essere stati lasciati. La particolarità era che forniva anche i nomi completi delle vittime e il loro profilo Facebook. Questo, come è facile immaginarsi, scatenava ogni sorta di violenza verbale. Ma anche cyberstalking, discriminazione sul posto di lavoro, aggressioni fisiche, fino all’omicidio.

Certo, da quando nel 2000 il ricercatore Sergio Messina aveva identificato la «pornografia realcore» come un genere distribuito sui gruppi Usenet, lo «sputtanamento» aveva fatto passi da gigante. Si erano moltiplicati anche i siti a pagamento, tra cui molti fake, che «mettevano in scena» situazioni di revenge porn con attori. In altri casi venivano offerti alle vittime servizi per «ripulire la reputazione» tramite link da quegli stessi siti su cui ci si poteva iscrivere per fruire di contenuti offensivi.

La legislazione arrancava. Il reato era riconosciuto e punito in poco più della metà degli Stati Uniti, in Canada, Israele, Germania, Regno Unito, parte dell’Australia. A seconda dei casi veniva descritto come grave abuso psicologico, una violenza privata e un abuso sessuale. Trasversale e trans-generazionale, la porno-vendetta non aveva confini. In Italia, le stime indicavano che un adolescente su venti l’aveva subita.

«Un incubo, ecco cos’era quel periodo della mia vita. Mi sentivo spiata, sempre al centro dell’attenzione, mi sembrava che i miei compagni mi parlassero alle spalle, piangevo in continuazione, non volevo più uscire di casa. Non potevo più fidarmi di nessuno, chiunque poteva avermi visto!». Giada era stata fortunata: dopo più di un anno, era passata. Questo racconto lo fece quando aveva 16 anni ed era ormai «andata avanti». Ma non sapeva che fine avessero fatto quelle foto, né lo sapeva il fidanzatino che le aveva scattate e inviate ai loro amici dopo che avevano rotto. «Spero solo che i miei non lo scoprano mai. Mi viene un nodo alla gola quando penso a questa storia».

Così dal sexting (sex + texting), invio di messaggi e materiale a contenuto sessuale, si poteva passare alla vendetta in piena regola.

Ma anche le donne potevano diventare carnefici. Nel Regno Unito una ventenne era stata condannata per aver «distrutto la vita» del suo ex. La madre di lui e i nonni avevano visto le sue foto senza veli, così come un numero imprecisato di ignoti, prima che fossero censurate. «È stato orribile», aveva commentato il ragazzo.

Dettagli piccanti su star e celebrities sono sempre stati il pane dei giornali scandalistici, anche in Rete. In quei casi però era spesso difficile tracciare il confine tra furto di materiale personale e porno-vendetta deliberata.

L’industria si mosse, lentamente: i colossi del digitale e i social network inserivano clausole nei loro Termini di Servizio, e cercavano spesso di rimuovere i contenuti offensivi. Le forze di polizia provavano a coordinarsi. Ma la legislazione era pur sempre l’ultima spiaggia, visto che interveniva quando ormai il danno era fatto. Si trattava comunque di un palliativo che non poteva risarcire della sofferenza patita, come spesso sostenevano le stesse vittime.

Un po’ di difesa spiccia:

Molto semplice: non fatevi né fatevi fare foto o filmati intimi!

Volete farvi foto o filmini con/senza il/i vostro/i partner?

Alcune precauzioni non guastano mai:

  • Evitate di inquadrare il viso
  • Evitate di essere riconoscibili
  • Mettetevi una maschera

La ciliegina della hacker

Esistono molte app apposite per nascondere e cancellare visi e altri elementi da foto e filmati. Non è necessario essere degli esperti di fotoritocco e animazione digitale. Alcune parole chiave possono essere sufficienti: «blur app», «cancellare viso», «oscurare foto»

Parla l’avvocato

Molte coppie ormai stendono accordi prematrimoniali relativi ai social media. Alcuni includono clausole per prevenire la diffusione e condivisione di foto, post e altri materiali atti a danneggiare la reputazione personale e/o professionale del congiunto. Parola chiave «social media prenuptial agreement».

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