Il migliore amico di sua figlia

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Come molti padri, Gianluca aveva difficoltà a vedere sua figlia crescere. Gea stava diventando una giovane donna. Da quando aveva iniziato a uscire con i ragazzi, suo padre era perennemente preoccupato per lei. Sapeva fin troppo bene di cosa potevano essere capaci, quei «bravi ragazzi». Gea, da parte sua, si sentiva come se suo padre pensasse che lei fosse un’idiota. Il suo rapporto con Gianluca era sempre più conflittuale.

Come la maggior parte delle adolescenti, Gea era davvero «sotto» con i social, quella che si sarebbe definita una social network addict, una tossica da social. Non smetteva mai di postare, twittare, likare… su una serie di app e piattaforme di cui Gianluca spesso ignorava l’esistenza. Dall’esterno dava l’impressione di diffondere tutta la sua vita online, senza filtri, o peggio ancora, con filtri che la facevano apparire più grande di quello che era.

Gianluca lo sapeva. Pensò che si sarebbe sentito rassicurato se avesse potuto accedere a tutti i contenuti che sua figlia pubblicava online. Pensò che ai tempi dei suoi genitori era molto più facile controllare le frequentazioni dei figli. E poi, a vedere tutti gli orrori che accadevano, storie ormai diventate di ordinaria amministrazione, era difficile sentirsi a proprio agio con i propri figli.

Un giorno, Ingrid, una sua collega di lavoro, lo spinse a fare il grande passo: era amica dei suoi figli su Facebook. Gianluca era ormai deciso. In quattro e quattr’otto creò un profilo per sé. Era semplicissimo! Cognome, nome, numero di cellulare o e-mail, data di nascita, in pochi secondi il gioco è fatto! Ora doveva solo chiedere l’amicizia a sua figlia. Ma qui le carte s’imbrogliarono.

Gea non voleva avere suo padre tra i suoi amici su Facebook. Gianluca fu costretto a cercare di convincerla di persona. Affermò di essere davvero interessato ai social network e a Facebook in particolare. Disse che si sentiva arretrato, che voleva recuperare, mettersi al passo con i tempi. Disse di avere molti colleghi che avevano un profilo sulla piattaforma e di non volersi più trovare a essere escluso dalle conversazioni.

Ma Gea, nonostante gli sforzi del padre, faceva davvero fatica a credere alla sua sincerità. Ad ogni modo la sua insistenza alla fine la spuntò: Gea finalmente cedette, per essere lasciata in pace. Gianluca pensava così di scoprire tutti i piccoli segreti di sua figlia in un istante; e invece su Facebook non trovò nulla che non sapesse già. Nessuna persona che non avesse già frequentato casa sua, nessun segno di flirt in vista. Gea sembrava candida come una colomba.

Gianluca dimenticò rapidamente di spiare sua figlia; mostrava invece un crescente interesse per la piattaforma su cui si era appena registrato. Cercò i suoi amici, colleghi, vicini, vicini di casa, alcune persone di cui aveva sentito parlare. C’erano sono davvero tutti, anche gli ex compagni di classe di cui ricordava appena i nomi.

Gianluca, dopo qualche settimana, si era assuefatto al punto da non poter più fare a meno dell’app ovunque andasse. L’aveva installata anche sul suo portatile al lavoro, per essere costantemente informato su ogni minima azione dei suoi «amici». A poco a poco, aveva cominciato a postare, prima con circospezione, poi in maniera quasi frenetica; aveva moltiplicato i selfie, reagiva ai commenti altrui, diffondeva ogni tipo di articoli e video. Si era scoperto avido di GIF animate con gattini in situazioni divertenti.

Ma un giorno, quando rimproverò sua figlia perché la sua stanza sembrava un campo di battaglia, Gianluca si trovò di fronte a una resistenza fino ad allora sconosciuta:

«Questa è l’ultima volta che te lo dico! Pulisci la tua stanza», gridò Gianluca a Gea.

«Basta, lasciami in pace», rispose Gea, determinata a non obbedire.

«Gea, fai come ti dico, sono tuo padre!»

«Potrai anche essere mio padre, ma non sta a te dirmi come gestire la mia vita.»

«Ah, benissimo. Se le cose stanno così, non ti sarà permesso uscire il sabato!»

«Col cavolo! Sabato uscirò eccome! Che cos’è, una prigione? Lasciami stare!»

«Non essere insolente!»

«Lasciami stare ti ho detto! O forse preferisci che racconti alla mamma dov’eri veramente sabato sera scorso, quando le avevi detto che andavi dai Giraldi? Altro che dai tuoi vecchi amici, vorrai dire che eri con la tua nuova fiamma… Che poi, è veramente un cesso, quella Ingrid! Una collega, no?»

Gianluca rimase senza parole. Gea aveva attentamente osservato i suoi post. E aveva scoperto il segreto di pulcinella. Nel frattempo, la sua «vera» vita si svolgeva fra Instagram e Snapchat, dove condivideva molte foto, video e piccoli segreti con i suoi amici. Applicazioni e piattaforme di cui lui aveva a malapena sentito parlare.

Capire

Nulla di più naturale che preoccuparsi dei figli. Per non parlare del fatto che non è sempre facile vederli crescere! Ma si sa, la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni. La campana di vetro è un’illusione, e il desiderio di protezione può trasformarsi in ansia di controllo, fino a diventare un’intrusione indebita nelle vite private dei ragazzi, complicando a dismisura il già difficile rapporto con gli adolescenti.

Di certo gli adulti e i genitori in particolare sono sempre più preoccupati per il ruolo delle reti sociali nella vita dei loro figli. Uno su cinque, stando ai dati che otteniamo dalle nostre formazioni, ammette addirittura di essere diventato loro «amico» o «seguace» (follower) su queste piattaforme: rimanere costantemente connessi per poterli monitorare.

In linea di massima i «controllati» non lo considerano un fenomeno molto positivo. Non solo non vogliono dover rendere conto di ogni loro mossa, ma nemmeno vogliono essere costretti a spiegare i dettagli di barzellette, scherzi, commenti difficili o impossibili da capire per i genitori, incapaci di interpretare i messaggi perché estranei al contesto.

È normale che gli adolescenti si stacchino gradualmente dai genitori. Questo periodo a volte difficile durante il quale costruiscono la loro autonomia e chiariscono la loro personalità può trasformarsi in un incubo se si sentono costantemente osservati e infantilizzati. E poi l’adolescenza è l’età della trasgressione, anzi, della gioia della trasgressione per eccellenza. Quanto più i divieti sono pesanti, tanto più saranno probabili tentativi di aggirare o violare le proibizioni stesse. Per di più non è raro che i ragazzi trovino modi non solo per sfuggire al controllo di genitori e adulti, ma anche per rivoltare questo controllo contro di loro.

D’altra parte ignorare la situazione non è affatto una soluzione intelligente. I pericoli associati ai social network sono molto reali. Non vanno esagerati, certo: ma senz’altro la Rete, e in particolare i social di massa, è pericolosa quanto una strada di grande percorrenza sempre affollata. Circolare su un’autostrada a piedi non è una buona idea… e gli adulti possono talvolta offrire ottimi consigli per trasformare i pericoli ignoti in rischi valutabili.

Come sempre, prima di cercare soluzioni tecniche, è necessario adottare buone pratiche!

Buone pratiche

Parlate chiaramente dei social network con i vostri figli, con i più giovani. Mostrate loro che sapete cosa sono e discutete apertamente dei rischi. Fornite un quadro di riferimento per il loro utilizzo discutendo i pericoli di cui questo libro vi informa: privacy, raccolta dati più o meno legittima ed esplicita, impossibilità di tornare indietro una volta inviato un messaggio, e così via. Ma fate anche attenzione ad ascoltare sempre: a volte i ragazzi conoscono cose che voi non sapete.

Create un clima in cui i ragazzi si sentano a proprio agio a parlare con voi della loro «vita online» come fanno della loro «vita disconnessa». Non sono cose separate, al contrario. Il punto di partenza è sempre l’adozione di un approccio critico agli strumenti digitali. Non c’è bisogno di essere grandi esperti per diventare autorevoli. Ma se il nostro uso da adulti delle «nuove tecnologie» è irresponsabile, superficiale, sciatto, è assurdo pretendere dai nostri figli che siano più responsabili e accorti di noi.

Un po’ di tecnica

  • Aiuta tuo figlio a creare i suoi account sui social network. Meglio fare insieme che lasciar fare di nascosto.
  • Discutete insieme delle ragioni per cui vuole aprire un account e di cosa significa. In ogni caso, invece di ammonire riguardo ai pericoli, è meglio raccontare le proprie difficoltà, i rischi che si sono corsi, le proprie storie di utilizzatore.
  • Leggete insieme i Termini del Servizio: un account implica sempre un contratto legale, è importante avere nozione di cosa prevede questo contratto.
  • Se sei un adulto, ricorda che non sei amico dei tuoi figli, né dei figli di amici e colleghi. Sei un adulto di riferimento.
  • Ricorda: hacker non si nasce, ma si può diventare, insieme!