Il metodo del «mi piace»

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I nativi digitali

Mariangela si era presa cura dei suoi nipotini fin da quando erano molto piccoli. La figlia maggiore, Francesca, glieli affidava volentieri; era un bell’aiuto, presa com’era dal tran tran della quotidianità, fra lavoro e mille altri impegni. Il suo ex compagno, il padre dei bambini, viveva all’estero ormai da diversi anni; erano in buoni rapporti ma certo non era di sostegno per crescerli giorno per giorno. Da parte loro, Olmo e Olivia erano sempre entusiasti di stare dalla nonna.

Quando la piccola compì dodici anni, il padre le regalò un cellulare, di quelli furbi, con un grande schermo tattile, una bella fotocamera e la connessione all’Internet. Era bellissimo, si chiamava iPhone, e aveva una cover rosa per proteggerlo dalle cadute. Così poteva chiamarla, anzi, videochiamarla.

Siccome l’età minima per usare WhatsApp era stata innalzata a sedici anni, le aveva installato FaceTime, un’applicazione Apple. Olivia era al settimo cielo. Entrò nel cellulare quel giorno, e un anno dopo sembrava ci si fosse persa dentro. Non le piaceva più andare dalla nonna. Le diceva: «Che noia qui. Non capisci nulla di app. Papà sì che è capace! Guarda, mi ha fatto un account tiktok, da remoto!».

Mariangela non capiva. Vedeva la nipote agitarsi davanti allo schermo, cercando di seguire il ritmo della canzone che le rimbombava nelle cuffie, e si sentiva tagliata fuori. Ne soffriva molto. In effetti anche Olmo, il più grande, si era un po’ allontanato per via del computer: passava ore a giocare a Fortnite, un gioco di ruolo online in cui si conquista un’isola immaginaria, così le aveva spiegato sommariamente un’amica di yoga, Adele. Sembrava un’esperta, visto che parlava delle cose di Internet come se ci si trovasse perfettamente a suo agio, nonostante i suoi settant’anni suonati.

Cercò di documentarsi. Scoprì che i suoi nipoti, come tutti i loro coetanei, venivano definiti nativi digitali, cioè individui nati insieme alle tecnologie digitali. Una generazione di persone a loro agio con queste tecnologie, in opposizione alle generazioni precedenti, definite immigranti digitali. Ma allora la sua amica Adele cos’era, una nativa digitale vecchia? Un’imbrogliona?

«Ma che nativi digitali d’Egitto!» Adele scoppiò a ridere, quando Mariangela le chiese del suo segreto. «Mio figlio è uno smanettone, gioca con i computer da sempre. Ha preso da suo nonno, cioè da mio padre, che riparava radio, TV e impianti audio. Per me questi computer non sono diversi dalle macchine che c’erano prima. Solo un po’ più fragili e complicati. E ovviamente connessi fra loro!»

Mariangela però continuava a sentirsi a disagio. Lei proprio li detestava quegli affari, le sembrava che si fossero sostituiti a lei nella vita dei nipoti. Certo, doveva ammetterlo: conosceva diverse persone che, proprio come la sua amica Adele, erano diventate abilissimi smanettoni, tanto da impegnarsi in relazioni interpersonali mediate dai dispositivi digitali: insomma, frequentavano altre persone conosciute su piattaforme online!

In qualche modo, alcuni suoi coetanei trovavano spesso più interessanti e coinvolgenti le realtà multimediali interconnesse rispetto alle situazioni disconnesse. Ovvero presentavano tutte le caratteristiche qualitative e quantitative di uso e abuso dei media digitali riconosciute che avrebbero dovuto essere peculiari dei cosiddetti nativi. Eppure erano persone nate insieme alla TV, negli anni Quaranta del XX secolo, non insieme a Internet o al Web! Com’era possibile?

Il punto di vista delle neuroscienze cognitive

Tutti gli esseri umani dotati di un cervello possono diventare nativi digitali perché il cervello è estremamente plastico e si modifica molto rapidamente nell’apprendimento di procedure. Questo non significa affatto che queste persone siano in grado di comprendere, analizzare, modificare e insegnare i meccanismi procedurali che ripetono! La presunta differenza generazionale fra nativi e immigranti digitali si basa sulla confusione fra diverse tipologie di apprendimento e memoria, in particolare fra memoria procedurale e memoria dichiarativa.

L’ergonomia cognitiva è una questione di testa, cioè corpo, e di abitudini. Grazie ai supporti digitali possiamo abbassare il nostro carico cognitivo e, per esempio, delegare il compito di ricordare tutti i numeri della nostra rubrica. Il lavoro che dobbiamo compiere (ergon, in greco) viene svolto dalla rubrica, che funziona attraverso regole precise (nomos, regola). Un aiuto indispensabile.

Non abbiamo seguito nessun corso per imparare a consultare la rubrica cartacea. E nemmeno quella del nostro telefono, o della gestione dei contatti su una piattaforma social. Forse abbiamo dovuto chiedere a qualcuno più smanettone di noi, probabilmente non sappiamo esattamente come funziona, però l’importante è che arriviamo all’obiettivo. Per far questo, dovremo compiere una serie di azioni ripetitive, ovvero ripercorrere una procedura. Seguiamo le tracce manifeste nell’interfaccia della procedura algoritmica pensata da altri per noi. La procedura coincide con i passi dell’algoritmo sottostante.

Per semplificare, diciamo che l’organizzazione del nostro sistema cognitivo si basa principalmente sulle facoltà intuitive e sul ragionamento. Affidandoci all’intuizione, non facciamo altro che interpretare un contesto attraverso schemi mentali che fanno già parte del nostro bagaglio mnemonico inconscio. Lo sforzo cognitivo e computazionale è minimo, dal momento che non dobbiamo pensare a quello che stiamo facendo. Agiamo in maniera automatica.

Il ragionamento invece richiede uno sforzo cognitivo notevole, dobbiamo soffermarci su un problema, fare ipotesi, seguire una sequenzialità che impone un ritmo lento e un pieno coinvolgimento. L’intuizione ci permette di agire e di usare uno strumento senza essere in grado di spiegarne il funzionamento, mentre il ragionamento può renderci in grado di spiegare esattamente come funziona qualcosa senza essere in grado di usarlo.

Una virtuosa del violino può non avere idea di come funzioni la propria muscolatura, ma sa usarla alla perfezione. Viceversa, possiamo essere in grado di descrivere teoricamente i passaggi per guidare un trattore leggendo un manuale, senza essere in grado di guidarlo in pratica.

Alternative concrete

Mariangela era ormai convinta di potersela cavare anche con quegli affari digitali. Tornò alla carica con Adele, esponendo il suo problema.

«Tu hai bisogno di applicare il metodo del ’mi piace’!», esclamò l’amica. «Funziona così: una volta individuato cosa ti piace, cerchi un’alternativa concreta. A te piace avere a che fare con tua nipote, giusto? Ma questa cosa di FaceTime ti ha scombussolato, così come tiktok.»

«Sì esatto. Pensa che mi sono comprata un iPad per poter installare anche io FaceTime. A quell’altro proprio non ci arrivo, però almeno adesso quando chiamo Olivia mi risponde.»

«Chiaro. Allora, ti serve qualcosa che possa ricoprire le stesse funzioni, vedersi attraverso un schermo, ma senza tutte quelle sciocchezze, tipo dover per forza avere un account e un dispositivo Apple… guarda, io con i miei nipoti che vivono a Montevideo uso jitsi. Funziona così: ci accordiamo, ci diamo un appuntamento preciso, con un orario e un indirizzo. Per esempio, https://meet.jit.si/nonna alle 18.30 ora dell’Europa Centrale. A questo punto, apro un browser, un navigatore web, digito l’indirizzo, abilito telecamera e microfono e zac!, mi ritrovo con loro. Niente login e password, niente notifiche!

«Va bene lo farò, ma proviamo prima insieme, una volta? Non vorrei far brutta figura con Olivia proponendole una cosa che non funziona…»

«Certamente! Anzi, tira fuori il tuo tablet, ecco qui…». Nel giro di una mezz’ora, Mariangela aveva preso confidenza con il nuovo giocattolo. E funzionava!

Olivia inizialmente sbuffò parecchio. Poi si lasciò convincere, e rimase esterrefatta. Forse poteva usare lo stesso sistema per chiamare segretamente le sue amiche, su FaceTime erano sempre tutti lì a guardarsi addosso l’un altro, per non parlare di WhatsApp, ovviamente ce l’aveva eccome un account, altro che sedici anni, però a volte non reggeva tutte quelle notifiche.

Il sistema della nonna invece era semplice, nessuno lo conosceva e in ogni caso non era legato al numero di cellulare, perciò bisognava per forza mettersi d’accordo prima, non c’era modo di mandare delle notifiche per chiamare qualcuno che non fosse già informato dell’appuntamento, ora e indirizzo.

«Nonna, sei un genio!», concluse Olivia.

«Più che altro ho una buona amica!», ammiccò soddisfatta Mariangela.