Valsusa4u

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C’era una volta una valle alpina. La valle, scavata dalla Duria e dai suoi affluenti, era percorsa da antiche vie di comunicazione, sentieri battuti nei millenni da animali selvatici e domestici, strade tracciate dagli abitanti e dagli intensi passaggi, giù verso la pianura a levante, su per i valichi a ponente. Viaggiatori, commercianti, invasori, in tanti l’avevano attraversata. Valsusa, la chiamavano.

Decisioni prese altrove vollero imporre la costruzione di una linea ferroviaria detta «Alta Velocità». Si dovevano impiegare nugoli di operai, macchinari giganteschi, enormi risorse per una nuova via faraonica. C’era da traforare la già esausta montagna, abbattere alberi, colare cemento sul suolo, deviare torrenti, contaminare l’aria con sostanze ben nascoste nelle viscere della terra.

Gli abitanti si opposero a quel progetto scellerato. A parole e con i fatti, scesero per le strade, bloccarono le ruspe e i camion, rallentarono in tutti i modi i lavori. Ogni nuovo governo trovava la situazione sempre più ingarbugliata, e l’opposizione sempre più diffusa. Ci furono violenze. Alcuni vennero malmenati dalla polizia e dai vigilantes; altri vennero imprigionati. L’eco delle lotte correva di valle in valle: da lontano vennero a manifestare solidarietà, il comune sdegno di fronte alle ingiustizie.

Non si trattava solo di opporsi a quel dissennato progetto in quella valle: a poco a poco divenne il simbolo di un’opposizione diffusa a molti progetti analoghi, accomunati dall’inutile consumo di suolo e dal disprezzo dei governi e dei grandi capitali per le comunità locali. Nella valle, le bandiere si moltiplicavano, «NO TAV», c’era scritto, basta dire sì a qualsiasi follia, a distruzioni che non creano nulla di buono, a promesse sulla pelle della nostra terra: non vogliamo questa Alta Velocità, non ci servono le vostre grandi opere, i vostri meschini intrallazzi.

Ma i cantieri continuavano inesorabili…

Era il tempo del web sociale, della condivisione dei contenuti sulla rete di Internet. Senza i social, sentenziavano alcuni, non avremmo mai raggiunto il mondo intero! E giù ad alimentare profili pubblici, a ripostare e ritwittare, a cliccar mi piace. Certo, faceva un bell’effetto, veder quei numeri salire come panna montata, tante condivisioni, tanto supporto, e da così lontano a volte! Anche se poi quei numeri potevano ingannare, alla prova dei fatti, dei picchetti, dei presidi, delle manifestazioni. Ci voleva qualcosa di più user friendly, più facile da usare, e che facesse colpo.

Per esempio, un’app. Capace di segnalare gli amici, e gli amici degli amici. Su una mappa. Una mappa delle bandiere NO TAV, disse qualcuno. A che serve, disse qualcun altro. Ma per dare visibilità, e per far vedere quanto è forte la community, è ovvio! Risposero in coro quelli che di social media marketing se ne intendevano.

Ben presto divenne una specie di gara a chi segnalava più bandierine sulla mappa. Per finanziar l’impresa, qualcuno lanciò un magnifico crowfunding*, per raccoglier denari dalla folla. A quella prima app se ne agganciarono altre, come una cascata d’informazioni che s’incastrano fra loro, grazie a delle semplici domande: quando? Dove? A che ora? Con chi? Posta una foto della bandiera. Meglio un video. Meglio un video anche della casa dove è issata. Della piazza. Delle persone che ci sono e sorridono. Taggale con nome e cognome. Consenti la registrazione delle coordinate GPS. Collega il tuo account social. Dì ai tuoi amici che l’hai caricata tu, questa foto. Esprimi il tuo pensiero, contribuisci, condividi!

Certo, le informazioni pubblicate sulla mappa erano di dominio pubblico, anche se caricate quasi sempre su social di compagnie private, ma d’altra parte, come si poteva fare altrimenti? Il sistema funzionava a meraviglia, su questo erano tutti d’accordo.

A parte certi strani personaggi, che si facevano chiamare hacker: all’inizio dell’avventura social, avevano proposto dei corsi di formazione, per costruire dei sistemi di comunicazione gestiti dagli abitanti della valle, per tenere lì i dati, dicevano. Ma non si capiva un’acca di quel che facevano, aprivano il loro computer e puf!, funzionava tutto, ma solo finché erano in zona. Senza di loro, era un disastro. I valligiani volevano cose semplici, altroché hacker!

C’erano poi i soliti guastafeste (si mormorava che fossero primitivisti, contrari al Progresso), i quali sostenevano che questo sistema era l’ideale anche per i governi, le aziende e le polizie. Era un sistema automatico, che riempiva ogni spazio e dava senso a ogni attività nella valle: l’ideale per chi desiderava imporre il suo dominio, senza nemmeno darlo a vedere. Ma per fortuna nessuno diede loro retta: la trasparenza era la soluzione, tutto era lì a portata di mano, tutto era esplicito, non c’era nulla da interpretare, soppesare, valutare: ogni dettaglio funzionava in maniera automatica!

Il turista francese

Jean-François Jubelot aveva scoperto da poco la Val Susa e si era innamorato. Adorava sciare: gli impianti di risalita sul versante italiano erano meno affollati e meno cari. Gli piaceva anche camminare per i sentieri, nella bella stagione. E ristorarsi nei rifugi, ma anche abbuffarsi delle golose specialità locali.

Certo, senza il sistema di notifiche sarebbe stato perso. C’erano talmente tante possibilità, sarebbe stato impossibile scegliere! E invece, l’app ValSusa4U era miracolosa. Gli proponeva itinerari perfetti per lui. Un giorno quasi per caso aveva fatto click su «Ciao JFJ, vuoi ricevere informazioni aggiornate sulla ValSusa?», e gli si era spalancato un mondo di scelte illimitate. L’app lo teneva informato sugli eventi culturali, ma gli aveva fatto anche riscoprire passioni sportive, si sentiva ringiovanito di vent’anni, e con tutte quelle attrazioni organizzate fin nei minimi dettagli! E che dire poi del canyoning? Del boulder? Dello sky running?

L’assistente vocale dell’app lo guidava, e non solo come navigatore quando veniva in auto. Gli acquistava i biglietti per gli spostamenti, gli prenotava i ristoranti, e arrivava a proporgli i menù adatti a lui. La selvaggina, che delizia! E tutto questo per pochi euro, un’inezia. Bastava dare accesso ai propri profili social, e si occupava di tutto lei. Quanti pensieri in meno!

Il Musiné

E così, ognuno viveva felice e tranquillo nel suo mondo. Un mondo privato, anche quando condiviso con altri, continuamente creato su misura in maniera automatica dalle rispettive app. Nessuna frizione, nessun conflitto, reciproca ignoranza beata.

«Una serata per te, a Torino!», cicalò l’operatore 663, con voce complice. JF era alloggiato nella bassa valle, il percorso era semplicissimo, bastava che si lasciasse guidare come d’abitudine. Una spruzzata di ferormoni (non si sa mai…), e via. All’improvviso lo schermo si spense. Fine carica, e non aveva nemmeno un power bank d’emergenza! Maledizione. Scoraggiato, alzò gli occhi. E la vide.

Una montagna, più bassa di quelle che piacevano a lui. Spelacchiata, di certo arida, isolata dalle altre come fosse la sorella storpia. Gli ultimi raggi obliqui rendevano ancora più biancheggiante l’enorme scritta che campeggiava a mezza altezza,

TAV = MAFIE!

TAV? Mafie? Ma che succedeva?

Gli hacker della realtà non avevano perso tempo e avevano punteggiato le montagne di scritte analoghe. Le lavagne della valle, le chiamavano. Quella era stata la prima, il mont Musiné, luogo esoterico di miti, UFO e storie magiche. Bastava una piccola falla nel sistema, un calo d’elettricità, e nonostante tutta la realtà aumentata e appositamente gamificata, le scritte si levavano forte e chiaro, al di là degli strumenti tecnologici, senza possibilità d’equivoci. Ci provavano sempre, a deturparle, ma squadre si avviavano su per le montagne a ripristinare, a riscrivere, perché si vedesse da lontano.

Alzare gli occhi. Metterci sopra le mani…

Hacker non si nasce: hacker, si diventa.