Sincrono o asincrono? questo è il tema!

Indice

Comunicare, organizzare, collaborare

La Codiconi si trovava in una situazione a dir poco difficile. L’ingegner Stefanelli non sapeva più che pesci pigliare. Da quindici anni si occupava del settore comunicazione e, fra alti e bassi, era sempre riuscito, come diceva lui, a «far passare quel che doveva passare»; ma ora si sentiva franare il terreno sotto i piedi, come se cose e persone fossero impazzite.

A sentire Stefanelli, tutto era cominciato con l’arrivo di Facebook. Era stata creata una pagina aziendale per mantenere un contatto costante con i clienti. Dal momento che la Codiconi offriva consulenze in una dozzina di paesi, presto s’impose la necessità di aprire versioni localizzate della pagina aziendale, affidate ciascuna alla sede locale di competenza, oppure a consulenti esterni.

Naturalmente poi ci voleva qualcuno che moderasse le pagine, per evitare commenti spiacevoli o addirittura odiatori. D’altra parte le sedi locali decisero autonomamente di organizzare il lavoro con gruppi WhatsApp, per evitare di doversi inviare mille email ed effettuare cento telefonate solo per approvare la pubblicazione di un post.

Spesso i documenti condivisi, ad esempio le immagini con cui illustrare i post, venivano conservati sugli account dei collaboratori: iCloud, oppure Google Drive, o anche Dropbox, e perché no OneDrive. Certo, siccome non di rado bisognava pur mettere le mani sullo stesso documento, era invalsa l’abitudine di usare GoogleDocs: le modifiche erano evidenti a tutti, si potevano anche fare commenti, non c’era il rischio di perdersi qualcosa come invece spesso avveniva all’epoca degli allegati email.

Non che gli allegati fossero scomparsi, anzi: semplicemente si era aggiunto un altro strato di comunicazione cosiddetta istantanea. A questo punto qualcuno ritenne opportuno proporre un contenitore per organizzare tutta quella comunicazione: Slack prometteva faville. Era possibile organizzare la comunicazione del team attraverso canali specifici, accessibili a tutto il team o solo ad alcuni membri. In questo modo si sarebbe dovuto eliminare il rumore superfluo. C’erano poi chat individuali private o chat con due o più membri. Le notifiche provenienti da tutti gli altri strumenti, calendari o messaggistiche, condivisioni file o allegati email, venivano allegramente macinate dentro Slack. Una meraviglia!

Stefanelli, intanto, sudava freddo. A sentir lui, il caos regnava sovrano. La produttività era drasticamente calata e, contemporaneamente, il tempo necessario per effettuare la comunicazione più banale era lievitato in maniera impressionante, a causa dell’elevato numero di passaggi e dell’impossibilità di tenere tutto sotto controllo. Ogni nuova procedura di semplificazione si rivelava, a suo parere, un ulteriore aggravio senza alcuna ricaduta in termini di efficacia.

«Guardi qui, signora Linares», si agitava Stefanelli, mostrando quelli che sembravano diagrammi di flusso all’amministratrice delegata.

«Prendiamo il caso di un semplice post su una delle nostre pagine aziendali, in occasione del prossimo Festival. Per approvarlo, ci vogliono in media sei passaggi principali, senza contare le frammentazioni ulteriori. Sei: oltre all’ok dell’organizzazione locale (uno), è necessario un controllo preventivo sui cinque sistemi di stoccaggio cloud più utilizzati, per verificare che l’asset, immagine o testo o che altro, sia stato approvato dal gruppo comunicazione (due); ci vuole poi una comunicazione broadcast sui canali appositi dentro a Slack (tre), che a loro volta convogliano informazioni in tempo reale da e verso una mezza dozzina di piattaforme; ma siccome non tutti hanno abilitato le notifiche reattive, è consigliabile procedere con un paio fra tweet e telegram (quattro), in caso qualcuno non fosse in ascolto sugli altri canali; si invia quindi una mail ufficiale per l’archivio (cinque); e una telefonata al responsabile operativo che certifica il tutto (sei), senza averne alcun controllo!»

«Va bene, va bene, mi risparmi i dettagli. Funziona, almeno?», cercò di tagliar corto la Linares.

«Un accidenti, funziona! In tutto questo, l’altro giorno ci siamo accorti che il calendario era sballato perché alcuni lo utilizzavano con visualizzazione a partire dalla domenica, altri con la settimana che iniziava con il lunedì, e su fusi orari diversi, perciò la programmazione dei post è andata, come si suol dire, completamente a ramengo!»

La Linares, donna energica e schietta, tendeva a sottovalutare le preoccupazioni dell’ingegnere. Lo trovava un tantino catastrofista. Ultimamente però le sembrava che davvero ci fosse qualcosa di strano. Com’era possibile che fossero passati dalla sola mail+telefono a oltre dodici canali di comunicazione aperti in contemporanea e ancora si perdessero delle informazioni per strada?

Capire: gli oggetti tecnologici per organizzare e collaborare

Gli strumenti di comunicazione di quell’epoca si potevano suddividere in: Social (FB, Twitter, Instagram, Linkedin…), di Messaggistica (SMS, WhatsApp, Telegram, Signal, Riot…), di Scrittura lunga (Email, lettere, raccomandate), Multimediali (Audio e video: telefono, VoIP, Skype…), Analogici: assemblea, chiacchiera. Ogni giorno nascevano nuovi sistemi per integrare l’esistente, più o meno funzionali ma di certo mai risolutivi. Tutti sembravano dimenticare una distinzione basilare: quella fra sincrono e asincrono.

Gli strumenti sincroni erano caratterizzati dalla condivisione di una cosiddetta piattaforma analogica e/o digitale che coincideva con lo spazio-tempo comune. Implicavano inoltre la condivisione di un focus di attenzione privilegiato. Viceversa, gli strumenti asincroni vedevano la condivisione di una piattaforma analogica e/o digitale che non coincideva con uno spazio-tempo comune; non presentavano inoltre un focus d’attenzione dedicato e privilegiato, ovvero ognuno rimaneva generalmente concentrato sui fatti suoi.

Questo significava che, a prescindere dalle promesse dello strumento, la struttura della comunicazione rimaneva sostanzialmente immutata secondo le due categorie.

L’email era la tipica rappresentante dell’asincrono, e così a maggior ragione le sue derivate (mailing list e così via). Prevedeva interazioni (risposte) non immediate, ovvero un certo tempo di mediazione. Per ovviare a questa lentezza percepita, si tendeva a comprimere il tempo, favorendo cicli di retroazione sempre più rapidi.

Ecco spiegato il ruolo delle notifiche nel mondo asincrono: richiamare l’attenzione, con conseguente possibile aumento del rumore di fondo. Hai un nuovo messaggio! Presto, rispondi! Queste caratteristiche della comunicazione asincrona la rendevano adatta per strutturare archivi, perché le funzioni di ricerca erano piuttosto semplici da realizzare. Una email ha sempre un mittente, un destinatario, un orario, un oggetto, un testo con un inizio e una fine.

L’assemblea (riunione, consultazione vis-à-vis) era invece la tipica rappresentante del mondo sincrono, così come le sue derivate digitali, ad esempio la videoconferenza. Prevedeva interazioni immediate, anzi, sovrapposte, ovvero tempi di mediazione minimi o nulli. Per ovviare all’eccesso di velocità percepito, si tendeva a distendere il tempo, favorendo cicli di retroazione più lenti: si decidevano infatti turni di parola, per evitare di parlarsi sopra.

Il ruolo delle notifiche nel mondo sincrono era quindi quello di richiamare l’attenzione, proprio come nel mondo asincrono, ma non per spingere a interagire: al contrario, si richiamava di regola al silenzio, per diminuire il rumore. Vi prego, signori, uno alla volta! Queste caratteristiche della comunicazione sincrona la rendevano inadatta alla strutturazione di archivi, perché ricercare rapidamente gli interventi nella registrazione di una telefonata o di una videoconferenza risultava un’operazione macchinosa quando non impossibile.

Dipende da come si usa?

Non esistono comunicazioni immediate (non-mediate), tanto meno con strumenti asincroni. La «messaggistica istantanea» era quindi un’impossibilità pratica, che portava di fatto a un aumento incontrollato dei cicli di retroazione. L’attenzione spasmodica consacrata alle famose «spunte di Whatsapp», quei segni azzurri che comparivano quando il messaggio era stato prima ricevuto e poi letto, ne erano una chiara manifestazione.

«Eh, ma dipende da come si usa», diranno allora i saggi utilizzatori, pronti a rivendicare una concezione antropologica della tecnologia, in cui l’elemento centrale dell’interazione è l’umano.

No, non del tutto. Gli oggetti tecnologici non sono neutri, non sono supporti ininfluenti dell’azione umana. I non-umani presentano invece delle caratteristiche strutturali invarianti, così come gli umani hanno suppergiù caratteristiche simili (metabolismo, pollice opponibile e così via). Gli usi «estremi», ossia le forzature sono certamente possibili, ma richiedono un maggior dispendio energetico.

Così si può usare una pietra per conficcare un chiodo in una tavola di legno, ma con un martello è meno faticoso, perché lo strumento «martello» presenta determinate affordances (permissività) che consentono determinati usi e ne limitano altri. D’altra parte non si può usare un foglio di carta per conficcare lo stesso chiodo: semplicemente, non lo permette, non presenta le necessarie permissività per portare a buon fine l’interazione.

Tecnologie appropriate

Stefanelli frequentò un corso di tecnologie appropriate e se ne tornò alla Codiconi con un bello schema.

La parte più succosa, che a lui piaceva esibire, recitava più o meno così:

ASINCRONO: è utile per comunicazione riflessiva (riflessioni), discussione, elaborazione, ricerca, archiviazione

SINCRONO: è utile per comunicazione operativa (decisioni), coordinamento, calendarizzazione

Ci volle un bel po’ di tempo e di fatica, ma piano piano alla Codiconi le cose migliorarono. Nessuno cercò più di decidere le date per le riunioni con la messaggistica istantanea o con le email, avendo compreso che i messaggi si sarebbero moltiplicati per poi non riuscire a venirne a capo. Si usava invece un sistema sincrono, durante la riunione precedente; per chi non era presente, si creava una pagina apposita su uno strumento di tipo doodle interno, sulla nuova piattaforma aziendale, un cloud sul server aziendale, gestito dal reparto IT interno (in effetti, due persone di buona volontà), e non da qualche multinazionale chissà dove. Tutto software libero, s’intende.

Per le discussioni, si tornò a usare principalmente le email, con alcuni accorgimenti per auto-moderare gli interventi.

Sulla piattaforma aziendale vennero immagazzinati tutti i file, le immagini e i materiali condivisi, in un luogo comune. Organizzarli non fu per nulla facile, ma ne valse la pena.

E quando alla Codiconi arrivava uno nuovo, e proponeva un «fantastico strumento di comunicazione» che avrebbe «risolto ogni problema», lo lasciavano a installare il suo affare e a giocarci da solo per un po’, fino a quando non si stancava e chiedeva «ma voi come fate?», e allora glielo spiegavano, con calma.